

A volte capita di sentirmi tanto piccolo e insignificante da diventare ancor più timido e esitante. Specialmente davanti a foto straordinarie come quelle che ritraggono miliardi di galassie, contenenti ciascuna miliardi di stelle. Quando penso che io in quell’universo sono poco più dello zero assoluto. Allora mi passa la voglia di scrivere su queste pagine. Che senso può avere scrivere qualche riga di testo sulle mie ultime letture? In questi casi preferisco astenermi e passare alla lettura successiva, meglio leggere.
Poi, quando dal mio infinitamente piccolo buco guardo tutti i giorni le immagini di quello che accade a Gaza, oltre alla timidezza e all’esitazione arrivano anche la vergogna e l’impotenza. Bambini insanguinati, mutilati, morti di fame e di freddo. Allora la voglia di scrivere mi si rinsecchisce dentro, preferisco il silenzio e, ancora una volta, la lettura.
Chi sono io per scrivere delle mie letture davanti alla grandiosità dell’universo e alle atroci sofferenze patite da umani per mano di altri umani? Meglio il silenzio, mi sembra più umile davanti alla prima e più rispettoso davanti alle seconde.
Poi mi sono detto che tutto sommato appartengo ad una specie di esseri viventi che pensa, parla, scrive, legge. Scrivere appartiene alla mia natura. Si potrebbe obiettare che scrivere è il tratto distintivo della cultura, più che della natura umana. Però, si potrebbe anche controbattere, che usare gli strumenti della cultura appartiene, ormai da molto tempo, alla natura degli umani. Con questa giustificazione e con la consapevolezza che la scrittura è un’ottima medicina per la mente, che scrivere può aiutarmi a tenermi lontano dalla demenza senile mi dico che posso tornare a scrivere, anche se talvolta mi capita di sentirmi piccolo piccolo, insignificante e impotente.
Su Gaza e sulle nefandezze umane è doveroso, parlare e scrivere. Nel mio piccolo l’ho fatto nella pagina Gaza (28/5/2024). C’è da dire che da allora le vittime in quella terra martoriata sono passate da 35.000 a 50.000.

Torno quindi al titolo di questa pagina, Ombre. Le ombre hanno a che fare con due recenti letture, una ripresa dopo una lunga pausa (la prima) e l’altra terminata da poco:
– Murakami Haruki, La città e le sue mura incerte
– Emanuele Trevi, Mario Trevi, Invasioni controllate
Come ben sanno i lettori di Murakami l’ombra è uno dei temi centrali nella sua opera, come il pozzo, le mura e la biblioteca.
Ma l’ombra è un tema centrale anche nella conversazione cui danno vita i Trevi, padre psicoanalista e figlio scrittore, nel testo del 2007 rieditato nel 2024, Invasioni controllate.
Non sono partito dal tema comune (l’ombra) per risalire agli autori bensì dall’interesse per gli scrittori (Emanuele Trevi e Murakami Haruki) per trovarmi davanti al tema comune. Ciò che mi ha colpito è che non si tratta di significati molto diversi tra loro. I Trevi partono da un retroterra filosofico, più precisamente dalla psicoanalisi di Jung. Afferma Emanuele Trevi: l’ombra “mi sembra la metafora più affascinante di tutte quelle escogitate da Jung per descrivere il mondo psichico.” Risponde Mario Trevi: “Noi siamo vittime di un inganno. Dico soprattutto noi occidentali, ma forse tutta l’umanità desidera esclusivamente identificarsi con la parte razionale della psiche. Questa parte è radicata nel collettivo, nel sociale. Dunque l’Ombra in primo luogo è qualcosa che disturba, che ci mette i bastoni tra le ruote. Si tratta si tutto ciò che ci appartiene e non vorremmo che ci appartenesse, non vorremmo che gli altri conoscessero. (…) c’è un’Ombra individuale e un’Ombra collettiva. Non solo i singoli, ma le culture producono la loro Ombra. Si potrebbe considerare addirittura l’Oriente come l’Ombra dell’Occidente, tutto ciò che l’Occidente nel suo sviluppo ha rimosso, accantonato.”
Murakami dal canto suo, nel discorso di accettazione del Premio Andersen (2016), che ha intitolato “Il significato delle ombre” (per onorare il racconto L’Ombra di Andersen), afferma: “così come ogni persona ha dentro di sé ombre, così anche le società e le nazioni” e “se esiste un aspetto fulgido e brillante ci sarà sempre la controparte oscura. Se vi è il positivo esisterà dall’altra parte anche il negativo”.
E’ evidente la presenza, nelle concezioni di Trevi e Murakami, non solo delle ombre ma anche delle loro due dimensioni, quella individuale e quella collettiva. La controparte oscura, per dirla con le parole di Murakami, è dentro ciascuno di noi (è tutto ciò che ci appartiene e non vorremmo che ci appartenesse, non vorremmo che gli altri conoscessero, secondo Trevi). Ma è anche nella società (per esempio, tutto ciò che l’Occidente nel suo sviluppo ha rimosso e accantonato, secondo Trevi, e che ritroviamo invece nella cultura orientale che in tal modo può apparire come ombra di quella occidentale).
Sembrerebbe, secondo entrambi gli autori, che l’ombra rappresenti la parte negativa (ciò che disturba, ciò che non vorremmo ci appartenesse, la controparte oscura).
Ma che cosa succede quando nel corpo che proietta l’ombra prevale la negatività? Di che cosa è fatta la sua ombra? Della stessa sostanza o del suo opposto? Cosa succede quando l’ombra prende il posto del corpo da cui dipende?
Se è vero che anche le culture producono la loro ombra allora cosa sta accadendo oggi alla cultura occidentale? Prevalgono la razionalità, la scienza, la cooperazione, la convivenza pacifica oppure prevalgono gli istinti animali, la paura, l’aggressività, la forza, la guerra? La cultura occidentale ha ceduto il posto alla sua ombra?
Sembra paradossale ma un termine che fino a ieri, almeno da noi, ha sempre avuto un significato positivo, “sveglio”, oggi negli USA “woke” non indica più, positivamente, una persona attenta alle ingiustizie sociali, alle discriminazioni, al razzismo; oggi indica, in senso dispregiativo, una persona da isolare e respingere proprio per quei valori di cui si fa portatrice. Ecco il rovesciamento, lo scambio con l’ombra, quando questa prende il posto del corpo da cui dipende allora il significato di molte parole si rovescia.
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